Divieto di distruzione di invenduti o resi: le novità del Regolamento Ecodesign
di rén collective
Art. 46/2024 – Responsabile editoriale: Lorenza Vacchetto
Di Sara Cavagnero
L’entrata in vigore della disciplina europea relativa alla progettazione ecocompatibile dei prodotti sostenibili (c.d. Regolamento Ecodesign) è ormai imminente (1). Proposto dalla Commissione a marzo 2022, il Regolamento si focalizza su diversi gruppi prioritari di prodotti, tra cui i tessili e le calzature, e mira a renderli meno impattanti durante tutto il loro ciclo di vita, oltre che più durevoli e affidabili, facili da riutilizzare, riparare e riciclare.
Inoltre, il Regolamento definisce il quadro per evitare la distruzione dei prodotti invenduti destinati in primo luogo ai consumatorӘ, compresi i prodotti che non sono stati messi in vendita o che sono stati restituiti in virtù del diritto di recesso.
Prima di tutto, facciamo chiarezza: cosa si intende per “distruzione”?
Nel testo consolidato del Regolamento Ecodesign (2), il termine è definito come “il danneggiamento intenzionale o il disfarsi del prodotto come rifiuto, tranne se il disfarsene è inteso esclusivamente a consegnare il prodotto di cui ci si è disfatti a fini di preparazione per il riutilizzo, comprese le operazioni di ricondizionamento o rifabbricazione”.
Nello specifico, il concetto di distruzione comprende le ultime tre attività relative alla gerarchia dei rifiuti definite nella relativa Direttiva Quadro (2008/98/CE): riciclo, recupero di altro tipo e smaltimento.
In altri termini, il riciclo è considerato distruzione ai sensi della disciplina europea.
Infatti, sebbene il riciclo rappresenti un’importante attività di trattamento dei rifiuti per un’economia circolare, è irragionevole che i prodotti siano fabbricati solo per essere immediatamente riciclati: ciò spiega l’inclusione del riciclo nel concetto di distruzione.
La disciplina: il principio di prevenzione
Ai sensi dell’art. 23 del Regolamento, gli operatori economici dovranno adottare le misure necessarie e ragionevoli per evitare di distruggere i prodotti di consumo invenduti.
Per disincentivare tale pratica e generare ulteriori dati sull’entità del fenomeno, il Regolamento introduce un obbligo di trasparenza per gli operatori economici, imponendo loro di divulgare informazioni sul numero e il peso dei prodotti di consumo invenduti di cui si disfano ogni anno. In particolare, i soggetti obbligati dovranno indicare:
- il numero e il peso dei prodotti di consumo invenduti di cui si sono disfatti nel corso dell’anno, suddivisi per tipo o categoria di prodotti;
- i motivi per cui si sono disfatti dei prodotti;
- la percentuale dei prodotti di cui si sono disfatti, direttamente o tramite terzi, consegnati per successive operazioni di trattamento dei rifiuti;
- le misure adottate e pianificate per prevenire la distruzione.
Dove dovranno essere pubblicate le informazioni?
Almeno su una pagina del sito web di ciascun operatore economico, facilmente accessibile. Eventualmente, tali informazioni dovrebbero anche essere incluse all’interno dei bilanci e nell’eventuale report di sostenibilità (3).
A chi è rivolto l’obbligo?
L’obbligo riguarderà le medie imprese sei anni dopo l’entrata in vigore del Regolamento, mentre non si applicherà a micro e piccole imprese.
Ove tuttavia sussistano prove ragionevoli del fatto che le micro e piccole imprese possano essere usate per eludere la normativa, la Commissione potrà esigere che il divieto di distruzione o l’obbligo di divulgazione si applichi anche alle realtà di minori dimensioni.
Gli obblighi futuri: il divieto di distruzione
Dopo due anni dall’entrata in vigore del Regolamento, sarà vietata la distruzione di abbigliamento, accessori e calzature, al fine di contrastare i volumi di produzione inutilmente elevati e la breve fase d’uso di tali prodotti.
Sono previste deroghe specifiche, ad esempio per motivi di salute e sicurezza, disciplinate dalla Commissione Europea.
La disciplina europea rievoca in una certa misura le prescrizioni della Loi AGEC, con cui già nel 2020 il governo francese imponeva che i prodotti tessili invenduti venissero riutilizzati, ridistribuiti o riciclati a partire dal 2022. C’è però un’importante limitazione in quanto tale legge si applica solo in Francia: ciò significa che gli indumenti di aziende francesi prodotti e invenduti in altri Paesi possono ancora essere distrutti – sebbene alcuni brand, quali Hermès, abbiano dichiarato di voler porre fine a questa pratica a livello globale entro il 2025, sulla scorta del divieto francese.
Nella società civile, in molti hanno accolto favorevolmente la proposta della Commissione Europea, considerandola in linea con il contrasto alla sovrapproduzione e il modello take-make-dispose. Infatti, sebbene produrre meno e meglio sia considerato un obiettivo di sostenibilità chiave per molti brand, le strategie per perseguirlo sono ancora blande, considerato che il sistema manifatturiero si fonda su una visione arcaica, che incentiva gli ampi volumi, stimola continuamente la domanda attraverso marketing incessante, pubblicità mirate e un ciclo apparentemente infinito di sconti e promozioni.
Altri hanno evidenziato le criticità della proposta, temendo che il divieto di distruzione, se non accompagnato da soluzioni globali per la gestione dei rifiuti, finiranno per comportare che l’invenduto venga semplicemente esportato fuori dai confini europei, finendo – come già ampiamente accade – in mega discariche a cielo aperto, come quelle Chilene e Ghanesi. Ad aggravare questo rischio, vi è il fatto che non sia stato chiarito se il divieto si applichi alle società con sede nell’UE o a quelle che vi operano, né sul potenziale impatto di tale divieto sulle regioni extra-europee.
Pertanto, una pluralità di stakeholder sta chiedendo alle istituzioni del vecchio continente di intervenire, fornendo in primis una definizione dei concetti di “beni invenduti”. Secondo l’European Fashion Alliance (EFA), questi ultimi sarebbero esclusivamente prodotti idonei al consumo o alla vendita (si escludono, quindi, beni contraffatti, campioni o prototipi). Rispetto a tali beni, si ritiene necessario attuare semplificazioni burocratiche e autorizzative, così da facilitare l’adozione di modelli di business incentrati sulla conservazione e utilizzo del materiale tessile già esistente attraverso processi quali il riutilizzo, la riparazione, il ricondizionamento, ecc.
Questa posizione è da noi condivisa e sostenuta nel corso dell’ultima audizione presso la Camera dei Deputati, di novembre 2023.
Attualmente, la Commissione Europea è al lavoro su una serie di regolamenti delegati, volti a introdurre la disciplina di dettaglio sulla gestione dei beni invenduti. In tal senso, il principio di prossimità risulta fondamentale: dovremmo gestire i beni invenduti il più vicino possibile al sito di produzione.
Buone nuove, inoltre, sembrano provenire dall’industria: nel corso di Première Vision Parigi, uno dei principali eventi a livello europeo sul tessile tenutasi a febbraio 2024, è stato allestito uno spazio dedicato alla vendita di giacenze produttive e deadstock.
Che cosa ne pensa la nostra community?
Secondo quanto emerso da un dibattito nella community di rén su Telegram, che ricalca le istanze emerse a livello internazionale, risulta cruciale adottare sistemi produttivi – già da tempo esistenti e consolidati ma poco utilizzati – basati non sull’ingrosso, bensì su pre-ordine e produzione su richiesta.
Per le realtà di grandi dimensioni (non solo fast fashion, ma anche del lusso) per le quali risulta inverosimile produrre su misura, appare invece più appropriato concepire capi con un impatto ambientale e sociale ridotto, sia nella fase pre- che post-consumo.
Da ultimo, si ritiene necessario intervenire sulle tecniche predittive della domanda, aderendo a modelli di forecast più precisi, anche grazie al supporto tecnologico fornito dall’intelligenza artificiale.
(1) https://www.consilium.europa.eu/en/press/press-releases/2024/05/27/green-transition-council-gives-its-final-approval-to-the-ecodesign-regulation/
(2) Art. 2, n. 34)
(3) Redatti ai sensi della Direttiva 2013/34/UE relativa ai bilanci d’esercizio, ai bilanci consolidati e alle relative relazioni di talune tipologie di imprese.
(4) Nello specifico, il divieto di distruzione si applica alle seguenti categorie di prodotti (cfr. Allegato VII):
Articoli di abbigliamento e accessori di abbigliamento
- Indumenti e accessori di abbigliamento di cuoio o di pelli, naturali o ricostituiti
- Indumenti e accessori di abbigliamento, a maglia o all’uncinetto
- Indumenti e accessori di abbigliamento, diversi da quelli a maglia o all’uncinetto
- Cappelli, copricapo e altre acconciature, ottenuti per intreccio o fabbricati unendo fra loro strisce di qualsiasi materia, anche guarniti
- Cappelli, copricapo ed altre acconciature a maglia, o confezionati con pizzi, feltro o altri prodotti tessili, in pezzi (ma non in strisce), anche guarniti; retine per capelli di qualsiasi materia, anche guarnite
Calzature
- Calzature impermeabili con suole esterne e tomaie di gomma o di materia plastica, la cui tomaia non è stata né unita alla suola esterna mediante cucitura o con ribadini, chiodi, viti, naselli o dispositivi simili, né formata da differenti pezzi uniti con questi stessi procedimenti
- Altre calzature con suole esterne e tomaie di gomma o di materia plastica
- Calzature con suole esterne di gomma, di materia plastica, di cuoio naturale o ricostituito e con tomaie di cuoio naturale
- Calzature con suole esterne di gomma, di materia plastica, di cuoio naturale o ricostituito e con tomaie di materie tessili
- Altre calzature
Fonti:
https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/HTML/?uri=CELEX:52022PC0142
https://data.consilium.europa.eu/doc/document/ST-9014-2023-INIT/it/pdf
https://www.premierevision.com/en/magazine/new-pv-paris-deadstock-trail/
Immagini: Pexels
Pubblicazioni correlate
Iscriviti alla nostra newsletter
Ricevi le news dal mondo della moda etica e sostenibile. Innovazioni, ispirazioni, eventi, tendenze e materiali.