Marzo 13th, 2023

SOS Pianeta Terra. La moda cosa aspetta a rispondere?

di rén collective

Di Livia Caliopi Biro

Art. 42/2023 – Responsabile editoriale: Lorenza Vacchetto


Lo stato attuale

Le temperature continuano a salire in maniera preoccupante: il Pianeta si è scaldato di 1,1 gradi°C, arrivando a temperature che non toccava da migliaia di anni.

Le variazioni del clima possono avvenire in maniera naturale, ma dal XIX secolo in poi dipendono principalmente dalle attività umane, ragion per cui si è dato all’era corrente il nome di Antropocene, era dell’Uomo.

La crisi climatica causa forti disuguaglianze: nonostante siano le potenze mondiali ad essere i Paesi più inquinanti, gli abitanti delle zone del mondo meno privilegiate sono quelli a subirne maggiormente gli effetti collaterali. Ora però le condizioni meteorologiche estreme sempre più frequenti e insolite sono per la prima volta un problema più reale e meno distante, dal momento che vanno a colpire anche l’Occidente e il nostro benessere, sino ad oggi – apparentemente –  in una bolla protetta.

Gli ultimi report del Pannello Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici delle Nazioni Unite (IPCC) riferiscono dei dati e studi importanti. Se gli stati del mondo dovessero attenersi alle attuali tendenze rispetto agli impegni per l’ambiente, le emissioni globali aumenterebbero del 10,6% entro il 2030 rispetto ai livelli nel 2010. Per limitare il riscaldamento globale entro i 1,5 gradi sarebbe necessaria una riduzione del 43% entro il 2030 per arrivare a zero emissioni entro il 2050.

Purtroppo alcuni degli impatti negativi del cambiamento climatico sono ormai irreversibili, (vedi l’obiettivo di rientrare entro 1,5 gradi rispetto al periodo pre-industriale).

 

Innegabile l’impatto negativo del settore moda

La moda, che dovrebbe rallentare la crescita e investire in materiali radicalmente meno impattanti, invece continua ad alimentare il sistema dello sfruttamento delle risorse e dell’iper-produzione.

È complesso studiare e monitorare una filiera così ramificata, non priva di aree tracciate a fatica e con imprecisione. La cifra varia tra il 2% e l’8% delle emissioni globali, una percentuale in crescita esponenziale. È stimato che circa il 38% dei gas serra prodotti vengono generati durante la lavorazione tessile. Mantenere questa tendenza significherebbe arrivare al 63% entro il 2030, con 2,7 miliardi di tonnellate di CO2.

Manifattura, trasporti, imballaggi e vendita di abbigliamento prevedono l’uso di enormi quantità di energia e sono estremamente inquinanti. 

Vengono impiegati combustibili fossili per l’aratura e la raccolta di materie prime, mentre l’elettricità è la fonte di energia primaria nelle fabbriche per il funzionamento dei macchinari, sistemi di raffreddamento, controllo della temperatura, illuminazione, etc. Purtroppo la maggior parte dell’energia impiegata deriva ancora da petrolio, gas e carbone (da cui dipendono ancora la maggior parte delle filiere per le loro esigenze di energia elettrica e termica).

Un forte agente inquinante dell’industria moda sono le sostanze chimiche tra cui: pesticidi e insetticidi, le tinture, gli agenti chimici utilizzati per la lavorazione dei materiali sintetici e le finiture. Molte di queste si disperdono nell’ambiente inquinando i corsi d’acqua e terreni, sono poi causa di problemi di salute non solo per i lavoratori della filiera, ma anche per le popolazioni che abitano vicino alle fabbriche.

Nel 2014 la produzione di capi di abbigliamento ha superato i 100 miliardi di pezzi, da allora questa cifra è raddoppiata. Significa che mediamente ogni persona al mondo ha 14 prodotti nuovi all’anno. Inoltre si stima che solo il 15% dell’abbigliamento viene riciclato e meno dell’1% per produrre nuovi vestiti. Tutto il resto finisce in discarica o viene incenerito. Secondo Textile Exchange, meno di 0,5% delle fibre presenti sul mercato a livello mondiale deriva da tessuto riciclato.

Sempre prioritarie la crescita lineare e l’efficacia del marketing

Uno studio dell’organizzazione Stand.Earth mostra come il settore moda sta rispondendo a questa crisi più come se fosse l’ennesima opportunità di marketing invece di rispettare la sua reale criticità, con aziende che, nonostante i dati scientifici catastrofici, ancora non limitano a sufficienza le proprie emissioni.

Negli ultimi anni le aziende del settore hanno annunciato di voler intraprendere una serie di misure per essere sempre più “sostenibili”, ma stanno fissato dei target in maniera vaga e senza dare indicazioni precise su cosa vada cambiato a livello pratico per raggiungerli. L’approccio in fondo sembra essere sempre quello di spingere verso una continua espansione.

Sembra quindi che non ci sia una reale comprensione verso come coniugare gli obiettivi climatici con l’attuale modello di business, forse perché è un obiettivo irrealizzabile.

Lasciare il futuro del Pianeta nelle mani delle aziende sarebbe dunque assolutamente distruttivo, poiché le loro priorità sembrano rimanere invariate.

Per combattere il consumismo e la crescita intensivi e distruttivi sono necessari cambiamenti di policy, come l’introduzione di regolamenti per ottimizzare il design responsabile e la due diligence, incentivi per i produttori di materie prime, una corretta gestione dei rifiuti e del riciclo, la valorizzazione di risorse già esistenti, l’accelerazione delle tecnologie per i materiali innovativi e un rallentamento della produzione.

 

Il sistema moda può e deve cambiare

Ci sono tante cose che possono fare i players del settore moda per allinearsi con quello che richiede lo stato attuale del Pianeta: dall’avere maggiore controllo in ogni fase della filiera, privilegiare materiali integrabili in una produzione circolare, ridurre i consumi di energia e sfruttamento di risorse non rinnovabili, deviare dall’utilizzo di sostanze dannose per le persone e l’ambiente e considerare anche quale impatto potrebbe avere il prodotto a fine vita.

Nel 2018 alla COP24 un insieme di esponenti del campo della moda e organizzazioni hanno fondato la Fashion Industry Charter for Climate Action (UNFCCC), con il patrocinio delle Nazioni Unite. Il charter ha stabilito degli impegni collaborativi e la necessità critica di implementare l’Accordo di Parigi a livello globale.

Anche rén collective ha contribuito a questa iniziativa, supportando in maniera attiva la divulgazione del ruolo di forte responsabilità che ha il settore moda nella crisi ambientale e climatica.

L’essere umano non ha mai dovuto affrontare una minaccia come quella del cambiamento climatico e l’industria della moda deve prendersi la responsabilità rispetto al proprio ruolo nel riscaldamento globale.

Optare per soluzioni che non danneggiano il benessere ambientale è fondamentale per contrastare i danni già provocati dall’azione umana. Questo può solo avvenire allontanandosi da una crescita lineare di sfruttamento di risorse naturali e instaurando una mentalità e un’operatività collaborative, circolari e rigenerative.

Immagini: Unsplash, Pexels, Pexels, Unsplash, Pexels

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