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Organico o biologico? Facciamo chiarezza

di rén collective

Di Sara Cavagnero

Art. 38/2022 – Responsabile editoriale: Lorenza Vacchetto

Sappiamo che nel settore moda sostenibile la terminologia viene spesso utilizzata in modo improprio – volutamente o meno.

Quando si parla di “organico” e “biologico”, vocaboli generalmente associati alle materie prime di origine naturale come il cotone, la confusione aumenta. Perché?

I due termini vengono in larga misura utilizzati come sinonimi, benché non lo siano.
Per comprendere le differenze, partiamo dalle definizioni contenute nel Dizionario Treccani.

Organico: “che si riferisce a, o ha rapporto con, gli organismi viventi, animali o vegetali”

Biologico: “Che si riferisce alla biologia o agli esseri viventi.
Agricoltura biologica: metodo di coltivazione caratterizzato dall’impiego esclusivo – anziché di fertilizzanti e antiparassitari chimici di sintesi – di concimi organici e, come pesticidi, di preparazioni naturali (decotti e macerati di erbe appropriate, alghe e minerali polverizzati, ecc.), nonché di predatori naturali (microrganismi, insetti, uccelli) dei funghi, batteri e insetti che provocano malattie nelle piante.
Prodotti biologici: prodotti che, provenendo da coltivazioni biologiche, non hanno richiesto l’uso di fertilizzanti artificiali e non contengono residui di pesticidi chimici.

Lost in translation

Le criticità associate al (mal) utilizzo di questi termini derivano da un problema di traduzione dall’inglese, laddove il termine “organic” significa anche “biologico”.

La lingua italiana è, invece, più sottile e differenzia di due termini.

La dicitura “organico” è, quindi, riferibile a qualsiasi articolo realizzato con fibre derivanti da ingredienti di origine animale o vegetale (es. cotone, canapa, lana, ecc.).

Il termine “biologico”, invece, viene associato solo a quei prodotti che rispettano particolari requisiti, fissati in maniera rigorosa dalla legge.

I prodotti biologici

Il significato di biologico è strettamente legato alla regolamentazione in materia che, a livello europeo, è contenuta nel regolamento UE 2018/848.

Il logo biologico fornisce un’identità visiva coerente ai prodotti biologici venduti nell’UE e può essere utilizzato solo sui prodotti che sono stati certificati come tali da un organismo o un’agenzia di controllo autorizzato. Ciò significa che i prodotti hanno soddisfatto condizioni rigorose in fatto di produzione, trasporto e stoccaggio.

In Italia, la normativa di riferimento è la Legge 9 marzo 2022, n. 23, recante “Disposizioni per la tutela, lo sviluppo e la competitività della produzione agricola, agroalimentare e dell’acquacoltura con metodo biologico”, approvata il 2 marzo 2022 e applicabile dal 7 aprile 2022.

Come suggerisce il nome “Testo unificato sulla produzione agricola con metodo biologico”, il provvedimento fa riferimento al settore agroalimentare e stabilisce alcuni parametri che un’impresa agricola biologica deve rispettare per definirsi tale. Tra essi si annoverano, ad esempio:

  • lo sfruttamento della naturale fertilità del suolo, con la promozione della biodiversità;
  • l’assenza di contaminazioni e la lontananza da fonti di inquinamento;
  • l’utilizzo di un numero limitato di additivi (una cinquantina sugli oltre 360 utilizzati dall’industria alimentare convenzionale) e limitatamente ad alcuni prodotti;
  • il divieto di utilizzo di coloranti, sia naturali che artificiali, gli esaltatori del gusto e tutti gli additivi organici artificiali;
  • il divieto di uso di organismi geneticamente modificati (i cosiddetti OGM) sia nell’agricoltura che nei successivi processi di lavorazione e trasformazione.

E le fibre?

Poiché la normativa cogente disciplina il settore agroalimentare, l’unico strumento che abbiamo a disposizione in ambito moda per riconoscere i prodotti biologici sono le certificazioni.

Visita il nostro portale rén community e scopri la guida che abbiamo dedicato alle principali certificazioni: una ricognizione sistematica delle 44 certificazioni, iniziative e standard più utilizzati nell’industria moda, sul mercato italiano e internazionale.

 

Con riferimento al cotone – settore particolarmente problematico in questo senso e pieno di “trappole”, come ha raccontato solomodasostenibile qui, le certificazioni più diffuse relative alla produzione biologica sono tre:

  • GOTS (Global Organic Textiles Standard). Si tratta della certificazione più utilizzata a livello globale. Il vasto riconoscimento ottenuto consente, a chi produce e vende prodotti tessili biologici, di avere a disposizione una certificazione accettata in tutti i principali mercati.
    Il GOTS prevede il rilascio di una dichiarazione ambientale verificata da parte terza che attesta: il contenuto di fibre naturali da agricoltura biologica dei prodotti sia intermedi che finiti, il mantenimento della tracciabilità lungo l’intero processo produttivo, le restrizioni nell’uso dei prodotti chimici ed il rispetto di criteri ambientali e sociali in tutte le fasi della filiera produttiva, dalla raccolta in campo delle fibre naturali alle successive fasi manifatturiere, fino all’etichettatura del prodotto finito.
    link video su GOTS: https://youtu.be/NzqfgfpOr-U

 

  • Organic Content Standard (OCS) è una certificazione che garantisce l’origine biologica delle fibre tessili e la loro tracciabilità lungo la filiera di produzione. L’OCS è applicabile esclusivamente a tessuti naturali di origine animale o vegetale.

L’OCS prevede due standard diversi per classificare i tessuti come biologici:
Organic Content 100 quando il tessuto contiene da 95% a 100% di fibre naturali biologiche;

Organic Content Blended quando il tessuto contiene almeno il 5% di fibre naturali biologiche.

 

  • Better Cotton Initiative (BCI): si tratta di un’iniziativa multistakeholder che promuove, attraverso l’adesione delle imprese, la sostenibilità sia ambientale che sociale nelle coltivazioni di cotone. Gli agricoltori che fanno parte di BCI adottano buone pratiche di protezione delle colture (utilizzo responsabile dell’acqua, preservare la qualità del suolo e delle fibre) e garantiscono condizioni di lavoro dignitose.
    BCI ha ricevuto molte critiche in quanto opera secondo un sistema di “mass-balance” che, da un lato, evita agli attori della catena di approvvigionamento le operazioni di segregazione fisica del cotone ma, dall’altro, espone al rischio che il cotone certificato possa essere mischiato con cotone non certificato.
    Per saperne di più: https://www.cikis.studio/it/article/better-cotton-initiative-in-cosa-consiste-vantaggi

Per una selezione più consapevole dei capi e dei filati.

La nostra mission è quella di divulgare informazioni credibili e veritiere sulla moda sostenibile, che siano utili sia alle imprese che ai consum-Attori, affinché le scelte di ciascuno possano essere attente e consapevoli.

 

In breve, se leggi il termine “organico” riferito ad un filato, domandati:

  1. Si tratta di un filato di origine naturale? Se sì, allora si tratta di un materiale organico in quanto tale (e non di un attributo legato alla sostenibilità).
  2. Il termine è utilizzato impropriamente, per identificare un materiale prodotto e certificato secondo gli standard dell’agricoltura biologica? Per rispondere a questa domanda, verifica se ci sono certificazioni (e quali).
    Se hai un brand e vuoi divulgare informazioni relative ai materiali, supporta sempre i tuoi claims (mediante dati, certificazioni, analisi di terze parti, ecc.)

 

Speriamo di aver aiutato a fare chiarezza su un tema tanto dibattuto e ringraziamo Elena vagamenteretro per averci offerto lo spunto per questo approfondimento!

Immagini: Ron Lauch, Oyster Haus, Teeshare, Amis

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