Strategia UE per tessili sostenibili e circolari: a che punto siamo, a un anno dall’adozione?

di rén collective

Di Rebecca Ravalli e Sara Cavagnero

Art. 40/2023 – Responsabile editoriale: Lorenza Vacchetto


Negli ultimi anni la Commissione Europea ha adottato numerose misure legislative e regolamentari per stimolare la transizione verso un’ “economia verde”, come previsto dal Green Deal del Dicembre 2019.

Le iniziative più significative, per ora, hanno interessato soprattutto il mondo della finanza, con l’entrata in vigore della Sustainable Finance Disclosure Regulation e la Tassonomia, e quello del reporting, con la recentissima adozione della Corporate Sustainability Reporting Directive, che impone a imprese grandi e medio-piccole (quotate) parametri molto dettagliati e articolati di rendicontazione non finanziaria.

Se le iniziative in ambito finanziario hanno l’obiettivo di traghettare le risorse economiche a supporto di attività economiche sostenibili, è anche vero che queste ultime devono poter essere chiaramente riconoscibili. A tal fine, la Tassonomia europea ha stabilito una serie di criteri secondo cui alcune attività economiche possono essere definite sostenibili. A oggi, questi criteri riguardano solo l’allineamento a obiettivi di sostenibilità ambientale – e perciò si sente parlare di Tassonomia “verde” – ma sono in fase di adozione i criteri per definire la sostenibilità sociale. 

Oltre a questi cantieri normativi già avviati e in fase di applicazione nella pratica, la Commissione Europea ha lanciato, circa un anno fa, nuove iniziative volte a migliorare la sostenibilità dei prodotti. Il 30 Marzo del 2022, infatti, la Commissione ha rilasciato una proposta di Regolamento per modificare la direttiva sull’eco-design, che a oggi riguarda solo gli elettrodomestici, e una strategia sui tessili sostenibili e circolari (EU Strategy for Sustainable and Circular Textiles, “Strategia”). 

La Strategia, oltre a collegarsi alla proposta di modifica della direttiva sull’eco-design, prende in considerazione l’idiosincrasia del settore tessile. 

Di seguito vediamo i 6 punti principali toccati dalla Strategia:

1. Requisiti di Eco-Design

Con la revisione della direttiva sull’Eco-Design la Commissione punta a promuovere la longevità dei prodotti. Non fanno eccezione i prodotti tessili, per i quali l’obiettivo è quello di aumentare il riciclo fiber-to-fiber (letteralmente “da fibra a fibra”) che aumenterebbe l’efficienza nei processi di riciclo del tessile, massimizzando la quantità di fibre sottoposte a riciclo.
Tuttavia, nonostante ​​il riciclo e la circolarità siano probabilmente le iniziative ambientali più potenti e di maggior successo pubblico nel novero di “strumenti a servizio della sostenibilità”, esse offrono molti meno benefici ambientali di quanto si possa pensare. Ciò ha creato l’illusione che l’industria stia diventando più sostenibile, mentre è vero il contrario.
Infatti, una ricerca conclusa da Quantis ha rivelato che l’adozione su larga scala di fibre circolari (riciclate) consentirebbe di ottenere una riduzione delle emissioni del 10% circa. Questa misura, da sola, non raggiungerebbe l’obiettivo di ridurre emissioni a livello di industria: il riciclo non può, pertanto, essere l’unica soluzione: occorrono, al contrario, strategie articolate.

2. Divieto di distruzione dei beni resi o invenduti

Questo è uno dei punti più delicati e più ambiziosi della Strategia, che ambisce a introdurre un divieto di distruzione dell’invenduto e del reso per le grandi imprese. Uno degli elementi che salta all’occhio è l’assenza di riferimento alla possibilità di un possibile indebolimento della protezione dei diritti di proprietà intellettuale, che è il principale motivo per cui i brand preferiscono distruggere i propri capi anziché destinarli a pratiche di upcycling o mercati secondari

Direttamente collegato al divieto di distruzione dei capi resi o invenduti, la Strategia impone anche un divieto di esportazione di tale merci così come dei rifiuti tessili in Paesi non-OCSE, salvo la presenza di un accordo tra Stati che garantisca un corretto smaltimento dei beni.

3. Microplastiche

La Strategia intende fornire strumenti anche per combattere il rilascio non intenzionale di microplastiche.

Secondo la European Environment Agency, oltre 14 milioni di tonnellate di microplastiche si sono già accumulate sui fondali oceanici. Le quantità aumentano ogni anno, causando danni agli ecosistemi, agli animali e alle persone. A livello globale, circa il 35% delle microplastiche rilasciate negli oceani proviene da tessuti sintetici, per un ammontare compreso tra le 200.000 e le 500.000 tonnellate.

La maggior parte delle microplastiche provenienti dai capi d’abbigliamento viene rilasciata le prime volte che i tessuti vengono lavati. Il fast fashion è responsabile di livelli particolarmente elevati di tali rilasci perché gli indumenti presentano una quota elevata di primi lavaggi, in quanto vengono utilizzati solo per un breve periodo e tendono a consumarsi rapidamente a causa della loro bassa qualità.

La Commissione ha aperto una consultazione pubblica per individuare possibili soluzioni a questo annoso problema e sta attualmente lavorando all’elaborazione di una proposta di Regolamento sul tema.

4. Digital product passport (DPP)

Di nuovo in collegamento con la revisione della Direttiva Eco-design, che prevede l’introduzione di un passaporto digitale dei prodotti per tenere traccia della filiera in modo da garantirne la trasparenza, la Strategia ipotizza l’impiego del DPP per fornire informazioni di etichettatura relative al prodotto.
Anche in questo campo, la Commissione ha annunciato una revisione delle etichette tessili, che comporterà l’introduzione di nuovi obblighi informativi riguardanti i parametri di circolarità e sostenibilità del prodotto, la misura del capo per i prodotti di abbigliamento e informazioni sul Paese di origine del prodotto. 

Su questo tema, la Francia ha anticipato i tempi, rendendo obbligatoria l’etichettatura ambientale per i grandi marchi di abbigliamento, calzature e prodotti tessili per la casa che vendono nel Paese, ai sensi del decreto 2022-748 AGEC (Legge anti-rifiuti per l’economia circolare).

Il decreto si applicherà alle aziende con un fatturato superiore a 50 milioni di euro da Gennaio 2023 e sarà gradualmente esteso alle aziende più piccole nel 2024 e nel 2025.


L’etichetta includerà informazioni su riparabilità, riciclabilità, sostenibilità, riutilizzo, contenuto di materiali riciclati, uso di risorse rinnovabili, tracciabilità e presenza di microfibre di plastica. Le informazioni sui prodotti devono essere messe a disposizione dei fruitori nel punto vendita – quindi sia online che in negozio – e disponibili anche dopo la vendita. L’obiettivo è aiutare chi acquista a prendere decisioni consapevoli sui loro acquisti e a gestire meglio i rifiuti tessili e di imballaggio.

Le norme francesi e dell’UE non sono allineate, per cui sono state sollevate perplessità su come i diversi requisiti (europei e nazionali) possano coordinarsi.

5. Green claims

La Strategia non dimentica una delle battaglie più importanti intraprese dalla Commissione e dalle Autorità nazionali contro il greenwashing. La revisione dei parametri di etichettatura nel settore del tessile servirà anche da linea guida per verificare l’affidabilità delle certificazioni di terze parti in merito a criteri di sostenibilità dei prodotti tessili e le relative comunicazioni rilasciate dai brand in merito alle proprie certificazioni e qualità dei loro prodotti. 

La Commissione UE aveva previsto di utilizzare il Product Environmental Footprint (PEF) come metodo per comprovare e comunicare le dichiarazioni ambientali per l’abbigliamento e le calzature. Tuttavia, un gruppo di 12 organizzazioni ha espresso serie preoccupazioni sul tema, sottolineando che lo strumento è obsoleto (è stato adottato nel 2014), e non copre una serie di chiave per quanto riguarda la sostenibilità, tra cui: governance, esclusione dell’impatto sociale, volubilità del sistema LCA (Life Cycle Assessment), utilizzo di sostanze plastiche.

6. Responsabilità estesa del produttore (EPR)

La Strategia conclude con l’estensione, a partire da Gennaio 2025, del principio di responsabilità estesa del produttore anche nel campo del tessile, in modo da incentivare l’economia del ri-uso e del ri-ciclo.
Ma davvero l’EPR è in arrivo? Questa è la domanda che si è posta Silvia Gambi di solomodasostenibile, che ha evidenziato come vi siano ancora molte perplessità in merito a questo tema, oltre a grande confusione generata dal fatto che ciascun Paese UE si doterà della propria regolamentazione.

Conclusione

Da tempo si attendeva attenzione dell’UE in campo tessile. Le misure regolamentari esistenti, infatti, oltre a essere datate risultano anche frammentate, faticando così a valorizzare uno dei settori economici più significativi per l’economia del vecchio continente. La Strategia si pone in discontinuità con l’atteggiamento passato, mettendo nero su bianco gli obiettivi e l’importanza che il legislatore europeo affida al settore tessile, seppur limitatamente alla sostenibilità ambientale (la Strategia non tratta infatti i temi sociali e non copre adeguatamente la tutela dei diritti umani). 

Sebbene si tratti di un documento programmatico, e con alcune limitazioni, la Strategia promette un certo rinnovamento per il settore tessile. Si attendono, quindi, regolamentazioni più precise, volte a tradurre la Strategia in iniziative legislative e regolamentari puntuali e dettagliate.

 

Immagini: Pexels, Unsplash

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