Conversazioni con Serena Campelli: restituire all’ambiente
di rén collective
Di Francesca Mitolo
Art. 13/2019 – Responsabile editoriale: Lorenza Vacchetto
Il Master delle Fibre Nobili ti ha portato a viaggiare in tutto il mondo: dal Giappone all’Australia, dalla Mongolia a New York. Ci racconti una delle tappe che più ti ha colpito e perché?
Sicuramente tra i luoghi che mi hanno maggiormente segnato ci sono Cina e Mongolia e il contrasto che si avverte tra la natura potente del Deserto del Gobi e dei pascoli, e la violenta industrializzazione e senza controllo in cui ci si imbatte appena varcato il confine della Mongolia interna verso la Cina. In ogni forma di crescita siamo abituati a pensare che sia necessario prendere, ma penso che sia arrivato il momento anche di restituire e di pensare ad una forma di crescita nuova che prescinda dallo sfruttamento assoluto di ciò che abbiamo intorno. Il termine Eco-nomia ha la stessa radice di Eco-logia. La sopravvivenza economica di un’azienda nell’ambiente dipende strettamente dalla sopravvivenza dell’ambiente stesso e questo è un aspetto che dovremmo ricordare più spesso.
In questi ultimi anni si parla molto di sostenibilità nel settore moda. Parlando di fibre e processi produttivi, che cosa possiamo definire sostenibile?
È molto complesso affrontare il tema della sostenibilità e sicuramente molte risposte dipendono dal punto di vista con cui si osserva il problema. Dobbiamo ricordare che non avere un impatto è impossibile e che qualunque cosa facciamo lascia un segno. Il punto sta nella consapevolezza che abbiamo di ciò che facciamo. È importante approfondire i processi e le storie dei prodotti a qualunque stadio della filiera prima di compiere le proprie scelte. Essere informati, essere curiosi e desiderosi di andare a fondo è fondamentale. Occorre interrogarsi soprattutto sul senso delle parole che abbiamo intorno ogni giorno e cosa realmente significhino. Naturale, biologico, organico non sempre sono sinonimo di sostenibilità e vengono spesso usati in modo fuorviante.
Non esistono fibre in assoluto più o meno sostenibili, ma la differenza è data piuttosto dai processi e dal modo in cui le aziende si approcciano ad una determinata fibra e pensano al suo ciclo di vita. Possiamo considerare sostenibili quelle aziende che controllano i processi produttivi in tutte le loro fasi e aspetti, considerando la sorgente della materia, le emissioni di CO2, il consumo di acqua, il consumo energetico, ma anche il modo in cui il capitale umano viene gestito all’interno. Non da ultimo occorre pensare al fine vita e a cosa ne sarà del prodotto una volta che avrà svolto la sua principale funzione. Ed ecco che una fibra dal processo perfettamente sostenibile, non è più sostenibile se non possiamo riciclarla o riutilizzarla o se non si biodegrada. A questo proposito uno strumento interessante lo trovate qui.
Dove ci porterà la ricerca nello studio di nuove fibre?
Sicuramente penso che una delle forze più grandi del nostro mondo sia la contaminazione intesa in senso positivo come la possibilità di venire a contatto con realtà nuove e avere una visione del mondo molto più trasversale di un tempo. L’industria tessile si contamina con la tecnologia, con la biochimica, con l’ingegneria dando vita a correnti nuove, quasi avveniristiche come la wearable tech e gli smart textiles dove la tecnologia è parte integrante del capo e la bio-couture in cui si immagina che in un futuro saranno i batteri a produrre i nostri abiti. A livello di prototipia questi esperimenti sono disponibili e in un certo senso non rappresentano più il futuro, ma sono già parte del presente.
Di che cosa deve tenere conto un fashion designer che vuole proporre collezioni green fashion?
La cosa più importante per un fashion designer che si avvicina al mondo della sostenibilità deve essere la consapevolezza della necessità di adottare un approccio integrato che non consideri solo i materiali utilizzati ma che vada ad inglobare la stessa idea di business. È prima di tutto il modello di business che deve essere sostenibile e improntato non più sulla massimizzazione dei profitti, ma sul valore condiviso. Se vogliamo fare impresa nel lungo periodo occorre impostare un progetto che abbia in sé le caratteristiche per garantire la sopravvivenza anche dell’ambiente circostante.
Un altro aspetto importante riguarda la comunicazione che soprattutto nel mondo attuale risulta fondamentale. Non è sufficiente un logo verde per essere sostenibile, occorre dare significato alle cose e imparare a raccontarsi.
Come consulente nella ricerca tendenze e tessuti sarai sicuramente avanti di qualche stagione rispetto al pubblico che acquista cosa vede in vetrina. Credi che la moda sostenibile sia solo un trend passeggero?
Sì e no. Sì perchè credo che la sostenibilità per molte realtà sia semplicemente un pretesto per vendere maggiormente i propri prodotti, alleggerendo il senso di colpa del consumatore e che sia quindi un elemento che fa molta gola al marketing. No perchè credo che tutta questa attenzione “mediatica” per la sostenibilità abbia invece in sé il seme per un cambiamento profondo. La sostenibilità sta diventando sempre più sinonimo di qualità, cura e amore per il prodotto. Questo è l’aspetto più profondo che non considero una tendenza. Se oggi la sostenibilità è un trend, nel senso che è una leva di marketing, domani la sostenibilità sarà un argomento imprescindibile per sopravvivere nel mercato, diventerà un modus operandi e sarà parte della natura stessa delle aziende.
Hai qualche rivista o sito da consigliare dove trarre ispirazione per creare delle collezioni di moda all’avanguardia?
Ho di recente letto alcuni libri molto utili e ricchi di esempi su come un designer può avvicinarsi alla sostenibilità. Di seguito i titoli:
- L’Impresa moda responsabile di Francesca Romana Rinaldi e Salvo Testa (2013), Egea Editore, Milano
- Innovazione e sostenibilità nell’industria tessile di Aurora Magni e Carlo Noè (2017), Guerini Next, Milano
- Neomateriali nell’economia circolare. Moda di Marco Ricchetti (2017), Edizioni Ambiente, Milano
- A practical guide to Sustainable Fashion di Alison Gwilt (2014), Bloomsbury Publising, Londra
Dove possiamo trovarti o leggerti?
Al momento non ho ancora un blog, ma a breve avrò un mio sito in cui vorrei cercare di trovare il tempo per parlare del mio lavoro e dei miei progetti. Il sito è www.serenacampelli.com. Inoltre racconto le mie passioni e il mio lavoro sul mio profilo Instagram @serenacampelli.
Nel profilo Instagram rén collective, il sabato lo abbiamo dedicato alla tematica BE WEIRD perché a nostro avviso c’è bisogno di leggerezza e di essere unici nelle proprie peculiarità. L’ultima domanda vuole avere lo stesso approccio. Che cosa fai per “tornare in te” dopo una lunga giornata di lavoro o quando hai un blocco creativo?
Spesso i blocchi creativi nascono dalla stanchezza mentale che arriva quando si lavora troppo o si resta troppo concentrati in solitudine. Per me la mancanza del confronto con gli altri è la principale causa della sindrome del foglio bianco. Quello che faccio è andare in luoghi affollati e cercare un respiro internazionale e una nuova energia. Questo mi ricorda il periodo in cui vivevo a Londra e che ha rappresentato un po’ l’origine di quello che sono ora e di quello che vorrei diventare domani.
Dopo la Laurea specialistica in Economia e direzione delle Imprese, si specializza nei processi tessili frequentando il Master delle Fibre Nobili, un percorso che, grazie all’opportunità di viaggiare in tutto il mondo, le ha permesso di approfondire l’intera filiera del settore tessile-abbigliamento. Fonda Diderot Maison, brand di pregiati accessori uomo con un’attenzione alla valorizzazione del patrimonio culturale e manifatturiero. Apre il suo studio di consulenza specializzandosi nella ricerca tessile e delle tendenze per The Woolmark Company e come editor per Textile View e nello sviluppo di moodboard e collezioni. Insegna inoltre allo IED di Torino Cultura Tessile – Tessile Sostenibile.
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