Più lana che tempo: storia di un gomitolo di fibra di alpaca
di rén collective
Di Irene Maddio-Rocco
Art. 31/2020 – Responsabile editoriale: Lorenza Vacchetto
Barbara Visconti alleva alpaca dal 2012, pochi anni dopo essersi trasferita a Cademoniale, una frazione di un piccolo comune piemontese della Valle Sacra, Castelnuovo Nigra. «Ho più lana che tempo!» è una frase che ripete spesso parlando della propria vita. Il termine giusto sarebbe fibra, mi spiega, ma nel linguaggio comune è concesso anche dire ‘lana’.
I suoi ritmi quotidiani sono scanditi dalle attività connesse ai suoi dodici esemplari di alpaca appartenenti alla famiglia dei camelidi sudamericani, suddivisi nelle due razze principali – Huayaca e Suri.
Barbara definisce Alpaca e Nuvole un allevamento “empatico”, dove l’attenzione principale è dedicata al benessere dell’animale. Si può definire questa attività come la precedente alle quattro fasi di lavorazione della fibra di alpaca, di cui lei si occupa in autonomia ricavando splendidi filati naturali. È proprio questo il motivo che ha mosso in me il desiderio di incontrare Barbara, che mi ha mostrato il lungo e complesso processo che porta alla nascita di ciò che anche i profani della moda conoscono con il nome di gomitolo.
La lana di alpaca fa parte della famiglia delle fibre tessili di origine naturale e rientra a pieno titolo nella categoria di quelle pregiate. Tra le sue qualità riconosciamo la leggerezza, l’impalpabilità e l’alto potere termico. Confrontata con la lana di pecora, la fibra di alpaca è tre volte più resistente, sette volte più calda e molto più morbida, oltre che immune all’infeltrimento dovuto alle alte temperature. Inoltre, l’assenza di lanolina le conferisce proprietà anallergiche che la rendono indicata anche alle pelli più sensibili e per l’utilizzo sui bambini.
In natura esistono ventidue colori a loro volta suddivisi in quarantaquattro sfumature tra il marrone chiaro, il biondo, il bianco, il grigio, il nero corvino e il marrone scuro. Questa grande varietà fa sì che spesso la tintura non venga utilizzata, anche se Barbara sta sperimentando come modificare le tinte dei filati tramite colorazioni naturali ricavate da erbe, fiori e spezie.
Quella che ai tempi degli Inca era considerata la lana degli dei, che poteva essere indossata solo dall’imperatore e dai membri della sua famiglia, nell’odierna società dei consumi è diventata comunemente accessibile ai suoi membri, ma non per questo meno preziosa.
Quali sono, allora, le fasi della lavorazione della fibra di alpaca in una filiera artigianale a km 0 e basso impatto ambientale?
1 . TOSATURA
La tosatura degli alpaca avviene una volta all’anno, nel periodo tra maggio e giugno, quando le temperature sono più favorevoli. In questa fase è fondamentale prestare estrema attenzione alla divisione per colore degli animali, che devono essere tosati uno alla volta evitando di mescolare tipi di fibra e sfumature differenti. Il pelo, cromaticamente separato in precedenza, viene poi raccolto in differenti sacchetti secondo la qualità della fibra: prima scelta, seconda scelta e scarto, i quali saranno destinati a impieghi differenti.
2. LAVAGGIO
Dopo essere stata divisa per colore e qualità, la lana viene pulita a mano e tramite apposite spazzole per eliminare le impurità e i residui di erba o fieno che si trovano sulla superficie del vello. A questo punto si può passare alla fase del lavaggio, da effettuare con acqua tiepida e sapone neutro, lasciando la lana a bagno per una notte e facendola successivamente asciugare all’ombra.
3. CARDATURA
La prima lavorazione della lana è la cardatura: una volta asciutta, si posiziona la fibra sul cardatore (che può essere elettrico o manuale), secondo la quantità che si deve lavorare. Questa viene “pettinata” durante il passaggio tra due rulli ruotanti provvisti di pettini di metallo. Terminato questo passaggio, si ottiene un soffice “tappetino” di lana, pronto per essere filato.
4. FILATURA
Il filato è l’aggregazione di fibre tessili tenute insieme da una torsione. Esso si forma a partire dalla lana precedentemente cardata, le cui fibre vengono messe in torsione tramite tecniche differenti.
Barbara ci mostra il suo filatoio a ruota, un marchingegno a pedale tramite il quale si ottiene una matassa che servirà a produrre il gomitolo.
Esiste però anche un’altra modalità di filatura, quella al fuso; strumento in legno ancora più antico funzionante grazie ad una rotazione – effettuata manualmente – che imprime torsione alla fibra precedentemente fissata alla sommità del fuso e crea man mano il filato, avvolto intorno al bastone di cui si compone lo strumento.
Il principio dei due strumenti è lo stesso, ma essi si distinguono per la quantità di filato che si riesce a produrre in un tempo determinato – maggiore con il filatoio a ruota.
La torcitura del filato è sempre seguita da una seconda torsione, chiamata binatura, che ne aumenta la resistenza.
(Vuoi approfondire l’argomento? Leggi l’articolo Come nasce un tessuto)
A questo punto il filo di lana è stato creato e si può decidere di tingere l’intera matassa, oppure farne dei gomitoli con i colori già esistenti in natura, da cui ricavare manufatti tessili lavorati con ferri o a uncinetto. Certo, il processo non è rapido: Barbara ha calcolato che impiega circa novanta ore di lavorazione (senza considerare tosatura e lavaggio) per creare otto gomitoli di fibra di alpaca.
Il suo è un saper fare che richiede tempi che non possono essere azzerati dalle macchine, impegno assiduo e cura nel praticare la propria attività.
Se è vero che per comprendere pienamente il valore di un oggetto non c’è altro modo che fabbricarlo, il racconto di Barbara ci insegna che dietro ogni prodotto artigianale c’è una storia che parla di lavoro, fatica, sogni e dedizione. Sta a noi decidere di ascoltarla e dargli valore.
Immagini: Francesca Rossignoli
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